Le crisi dimenticate nel 2008

MSF pubblica il rapporto sulle crisi dimenticate nel 2008
Sempre meno notizie sulle crisi umanitarie nei TG italiani

Roma – Medici Senza Frontiere (MSF) pubblica oggi il nuovo rapporto sulle crisi umanitarie più gravi e ignorate dai media nel 2008. Il rapporto contiene la “top ten” delle crisi umanitarie e un’analisi realizzata in collaborazione con l’Osservatorio di Pavia sullo spazio dedicato alle crisi umanitarie dai principali telegiornali della televisione generalista in Italia.

Le dieci crisi umanitarie identificate da MSF come le più gravi e ignorate nel 2008 sono: la catastrofe umanitaria in Somalia; la situazione sanitaria in Myanmar; la crisi sanitaria nello Zimbabwe; i civili nella morsa della guerra nel Congo Orientale (RDC); la malnutrizione infantile; la situazione critica nella regione somala dell’Etiopia; i civili uccisi o in fuga nel Pakistan nord-occidentale; la violenza e la sofferenza in Sudan; i civili iracheni bisognosi di assistenza; la coinfezione HIV-TBC.

L’analisi delle principali edizioni (diurna e serale) dei telegiornali RAI e Mediaset conferma la tendenza riscontrata negli ultimi anni di un calo costante delle notizie sulle crisi umanitarie, che sono passate dal 10% del totale delle notizie nel 2006, all’8% nel 2007 fino al 6% (4901 notizie su un totale di 81360) nel 2008.

Di queste, solo 6 sono quelle dedicate all’Etiopia, dove la popolazione della regione somala, intrappolata negli scontri tra gruppi ribelli e forze governative, continua a essere esclusa dai servizi essenziali e dagli aiuti umanitari, e nessuna alla coinfezione HIV-TBC, nonostante la TBC sia una delle principali cause di morte per le persone affette da HIV/AIDS e circa un terzo dei 33 milioni di persone con HIV/AIDS nel mondo è affetto da TBC in forma latente.

Per altri contesti dove sono in corso da anni gravi crisi umanitarie, l’attenzione dei media si concentra esclusivamente su un breve lasso temporale in coincidenza con quello che viene identificato come l’apice della crisi. È il caso del Myanmar, di cui i nostri TG si occupano solamente in occasione del ciclone Nargis, che pure rappresenta solamente l’ennesimo colpo inferto a una popolazione quasi dimenticata dal resto del mondo, dove l’HIV/AIDS continua a uccidere decine di migliaia di persone ogni anno, la malaria continua a restare la principale causa di morte e ogni anno vengono diagnosticati 80mila nuovi casi di tubercolosi. Ed è il caso della provincia del Nord Kivu nella Repubblica Democratica del Congo, dove anche nel 2008 sono proseguiti i combattimenti tra l’esercito governativo e diversi gruppi armati, che sono degenerati in una vera e propria guerra a partire da agosto, che ha provocato la fuga di centinaia di migliaia di persone. I nostri TG hanno parlato della crisi unicamente in occasione dell’assedio della città di Goma a ottobre e novembre, e già a dicembre la situazione era tornata a essere una crisi dimenticata.

Nel caso di crisi umanitarie cui i TG hanno dedicato uno spazio notevole, come l’Iraq o il Pakistan, va tuttavia notato come le notizie relative alla drammatica situazione umanitaria della popolazione civile irachena o di quella del Pakistan nord-occidentale, rappresentano una netta minoranza. Vengono invece privilegiate, nel caso dell’Iraq, oltre alla cronaca degli attentati, notizie incentrate sul coinvolgimento italiano o statunitense nelle vicende irachene; nel caso del Pakistan, le elezioni e gli attentati.

Infine, anche per il 2008 viene confermata la tendenza, da parte dei nostri media, di parlare di contesti di crisi soprattutto laddove riconducibili a eventi e / o personaggi italiani o comunque occidentali. Emblematici in questo senso sono la crisi in Somalia, a cui i TG hanno dedicato 93 notizie (su 178 totali) che coinvolgevano uno o più nostri connazionali; la malnutrizione infantile, di cui si parla principalmente in occasione di vertici della FAO o del G8; il Sudan, cui si fa riferimento principalmente per iniziative di sensibilizzazione che vedono coinvolti testimonial famosi e per notizie circa l’inchiesta da parte della Corte Penale Internazionale per il presidente del Sudan.

“Medici Senza Frontiere (MSF) è nata con l’obiettivo di portare soccorso alle popolazioni in pericolo e di testimoniare della loro situazione. L’azione di testimonianza, che significa raccontare la vita e le sofferenze delle popolazioni vittime della guerra, delle malattie e delle catastrofi naturali, è per noi essenziale”, afferma Kostas Moschochoritis, direttore generale di MSF Italia. “Raccontare significa anche sollevare un problema che altrimenti rischia di rimanere sconosciuto, significa richiamare alle proprie responsabilità nei confronti delle popolazioni in pericolo i governi e le istituzioni, significa lanciare un grido d’allarme quando persino la nostra azione, l’azione umanitaria, viene ostacolata. È spesso difficile, in Italia ma anche nel resto del mondo, raccontare la vita e le sofferenze dei milioni di persone che incontriamo e curiamo ogni anno in oltre 60 paesi del mondo. Per questo MSF è impegnata in un’azione di stimolo costante nei confronti dei mass media affinché non tralascino di informare sulle realtà dei tanti contesti di crisi nel mondo, nell’erronea convinzione che questi non interessino. La nostra speranza è che i media italiani accettino la sfida di raccontare le crisi umanitarie, nella consapevolezza che raccontarle sia il primo passo per affrontarle e risolverle, aderendo alla campagna ADOTTA UNA CRISI DIMENTICATA.”

(11/03/2009 da http://www.msf.it/)

Free Tibet

Oggi davanti a Montecitorio alle 15,30 ci sarà un sit-it con monaci tibetani e attivisti in commemorazione del cinquantesimo anniversario dell'invasione cinese del Tibet. Poi partirà una fiaccolata silenziosa che raggiungerà il colosseo.

Il 10 marzo 1959 l'esercito di "liberazione" maoista cinese reprimeva nel sangue un'insurrezione popolare nella capitale tibetana di Lhasa. Da quella data l'intero Tibet passò definitivamente sotto il controllo militare e politico cinese. Il Dalai Lama fu costretto alla fuga in India, per evitare la propria uccisione. Da allora in Tibet regna la legge marziale. Campi di concentramento ospitano migliaia di persone il cui solo crimine è il rifiuto dell'ideologia del "materialismo storico" comunista, nella forma della mancata abiura delle proprie convinzioni religiose e della mancata adesione formale agli ideali politici di Pechino.

Tesori d'arte e interi monasteri sono stati distrutti col fuoco, specialmente negli anni '60, durante la "rivoluzione culturale", con cui Mao decise di sradicare ogni sentimento popolare del quale potesse rinvenirsi un'origine "tradizionale" e "antirivoluzionaria". Milioni di esseri umani sono stati torturati e uccisi, non solo in Tibet, ma nell'intera Cina. Si volevano colpire gli atteggiamenti e le credenze buddhiste, taoiste e confuciane. Spesso, una delle tecniche, era quella di spingere i figli a rinnegare i genitori, e anche a ucciderli, per mostrare zelo rivoluzionario e fedeltà al partito. In Tibet, la violenza prese di mira soprattutto i monaci, accusati di essere signorotti feudali sfruttatori di contadini. La tortura sistematica e la detenzione nei campi di concentramento sono stati e sono tuttora il metodo principale di "rieducare" e "liberare" il popolo tibetano dall'oppressione capitalistica e religiosa. Il Tibet è oggetto di un genocidio culturale, il tibetano è proibito, i giovani devono imparare solo il cinese, la devozione religiosa è semi-illegale e persino tenere un'immagine del Dalai Lama può condurre un tibetano in carcere.

Pochi giorni fa, un monaco s'è dato fuoco per portesta in una delle regioni tibetane. Le violenze del regime si stanno esasperando in questi giorni, perché l'imminenza della ricorrenza del cinquantesimo anniversario della sommossa di Lhasa coincide con quello del 10 marzo scorso, in cui scoppiarono sommosse a Lhasa e furono represse nel sangue.

Manifestare pacificamente e in silenzio martedi prossimo è un modo per star vicino a questa gente che soffre violenze atroci da 50 anni.