Truffa a mano armata

Il parlamento iracheno sta per approvare la nuova legge che regolamenterà il settore energetico e aprirà le porte ai cosiddetti ‘investimenti' delle grandi multinazionali del petrolio, tra cui l'italiana ENI.

La legge voluta dalla grandi multinazionali petrolifere, ENI inclusa, prevede l'introduzione dei cosiddetti PSA – Production Sharing Agreements – i quali consentiranno alle multinazionali enormi profitti a scapito dell'erario iracheno.

Ma l' ENI è anche nostra - il 32% delle azioni sono detenute del Ministero dell' Economia e Finanze – e questo ci impone di chiedere con forza che la maggiore compagnia energetica italaina non firmi accordi ‘immorali' approfittando dell' avventura militare, costata la vita a centinaia di migliaia di civili innocenti.
Il petrolio iracheno non è ancora stato svenduto, la ‘Commissione governativa sul petrolio' mira all'approvazione della nuova legge sugli idrocarburi per fine marzo: i sindacati del petrolio, la società civile, la popolazione irachena non la vuole e chiedono il nostro sostegno.

L'ONG italiana "Un Ponte per..." promuove una campagna nazionale contro la partecipazione dell'ENI alla rapina del petrolio iracheno.

(da http://www.altremappe.org/NoWar/Petrolio_iracheno.htm)

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"Entro la metà del 2006 il governo iracheno si prepara a siglare accordi con le più grandi compagnie petrolifere occidentali, tra cui l'Italiana Eni, per avviare la produzione di 11 campi petroliferi nel sud dell'Iraq, tra cui quello di Nassiriya, dove si trova il contingente italiano".
Lo afferma un rapporto realizzato dalle associazioni Un ponte per...., Arci, Lunaria e Campagna per la riforma della Banca Mondiale. Nel rapporto si sottolinea anche che "fin dal 2005 l'Eni, assieme alla Bp, alla Chevron e alla Total è stata in contatto con il ministero del petrolio iracheno per definire il quadro di lavoro per lo sviluppo dei campi petroliferi non ancora operativi nel sud del Paese".

Il dossier, che prende spunto da un lavoro realizzato dalla Ong inglese 'Platform' relativo agli interessi dei paesi occidentali in Iraq, è stato presentato oggi a Roma e si intitola "Truffa a mano armata, i numeri degli interessi occidentali e italiani in Iraq". Vi è allegato anche un documento riservato del 'Mees' (Middle est economic survey), di cui è entrata in possesso 'Un ponte per...', in cui il direttore generale degli affari economici dell' organizzazione statale irachena per il mercato del petrolio (Somo), Shamkhi Faraj, sostiene che "il ministero ha avuto discussioni con le compagnie petrolifere, incluse Bp, Chevron, Eni e Total, per porre le basi dello sviluppo di giacimenti nel sud del paese, dove le condizioni di sicurezza non sono così difficili come nelle regioni centrali e settentrionali dell'Iraq".

Il rapporto analizza anche quello che sarà lo sviluppo del mercato petrolifero iracheno nei prossimi anni, affermando che non vi sarà una esplicita privatizzazione, ma l'adozione dei 'Production Sharing Agreements' (Psa), "contratti che, pur lasciando all'Iraq la proprietà dei giacimenti petroliferi, di fatto mettono nelle mani delle multinazionali la maggior parte delle future rendite".
In questo quadro la politica energetica che si va delineando, "sostenuta dal Dipartimento di Stato americano e degli altri paesi della coalizione", fermo restando la scelta dei Psa come formula di intesa, "destina alle multinazionali petrolifere la maggioranza dei giacimenti iracheni - ossia 63 su 80, quasi tutti quelli nuovi da rendere operativi - pari ad almeno il 64% delle riserve del paese". Con un prezzo del petrolio stabilito a circa 40 dollari al barile, secondo il rapporto delle Ong, "l'Iraq perderebbe un importo tra i 74 e i 194 miliardi di dollari durante il periodo di validità dei contratti (25-40 anni), mentre la redditività degli investimenti delle compagnie petrolifere dovrebbe oscillare tra il 42 e il 162 per cento".

In quest'ottica, è scritto ancora, "lo sfruttamento del giacimento di Nassiriya da parte dell'Eni" costerebbe in termini di "mancate entrate per lo stato iracheno tra i 2,3 ai circa 6 miliardi di dollari, pari rispettivamente all'8 e al 20 per cento del bilancio annuo attuale dell'Iraq". Contro a questo ipotizzato sfruttamento del petrolio iracheno si è espresso Dawood K. Salman, rappresentante della 'General Union of Oil Employees di Bassorà, il sindacato dei lavoratori del petrolio del sud dell'Iraq. "Rispetto a quando c'era Saddam Hussein per il popolo iracheno non è cambiato nulla - ha detto Salman, presente alla presentazione del rapporto -. Fino a tre anni fa Saddam deteneva il controllo totale delle risorse petrolifere: ora che lui non c'è più lo hanno le compagnie petrolifere".

(Ansa, 13 febbraio 2006)

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Dichiarazione congiunta dei sindacati iracheni riguardo i programmi della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale in Iraq.
Amman, 16 gennaio 2006

L'economia irachena è stata duramente colpita da decenni di sanzioni, guerre ed occupazione.

I sindacati e le federazioni irachene credono nella capacità del paese, con tutte le sue risorse petrolifere e minerarie, di fornire degli standard di vita dignitosi agli Iracheni.

Le federazioni e i sindacati considerano che le guerre e l'occupazione abbiano causato una diminuzione drammatica negli standard di vita e sociali degli Iracheni, in particolare dei lavoratori.

Le federazioni e i sindacati sottolineano l'importanza di una sovranità completa dell'Iraq sulle sue risorse petrolifere e naturali e di svilupparle in un modo che assicurino la completa ricostruzione del paese. Desideriamo sottolineare i seguenti punti riguardo le politiche dello FMI e della Banca Mondiale in Iraq:

1) Aumentare la trasparenza e la rappresentatività dell'Iraq nelle strutture decisionali delle IFIs (istituzioni finanziarie internazionali).

2) Porre fine all'imposizione delle condizioni di aggiustamento strutturale per i prestiti.

3) Accordarsi per fornire fondi ai servizi pubblici e alle imprese statali senza chiedere la loro privatizzazione.

4) Cancellare i debiti contratti dall'Iraq che sono risultati dalle politiche del passato regime.

5) Rifiutare la riduzione delle spese nei servizi sociali, specialmente l'eliminazione del sostegno governativo al sistema di distribuzione del cibo e la riduzione del numero di beni contemplati.

6) Rifiutare fortemente la privatizzazione delle aziende di proprietà statale, e in particolare nei settore quali petrolio, educazione, sanità, elettricità, trasporti e costruzione.

7) Rifiutare l'aumento nei prezzi dei prodotti dal petrolio, considerando l'impatto negativo sugli standard di vita degli Iracheni.

8) Adottare una nuova legge sul lavoro e il pensionamento e una legge sulla sicurezza sociale che assicurino i diritti dei lavoratori e che siano in conformità con gli standard lavorativi internazionali e le convenzioni sui diritti umani. La Banca Mondiale e il FMI devono anch'essi rispettare questi standard.

I sindacati e le federazioni che hanno firmato questa dichiarazione annunciando la formazione di un comitato coordinativo permanente che renderà note le proprie posizioni al Governo Iracheno e alle IFIs. Chiedono inoltre che le IFIs si impegnino nel dialogo, la discussione e la trattativa con le federazioni sindacali riguardo le loro politiche in Iraq.

Infine, essi richiedono l'assistenza delle organizzazioni sindacali internazionali per fornire tutto il sostegno possibile alle suddette richieste.

Firmato da:
General Federation of Iraqi Workers [ex-IFTU]
General Union of Oil Employees in Basra [now creating an Iraqi
Federation of Oil Unions - IFOU]]
Federation of Workers Councils and Unions in Iraq
General Federation of Workers Trade Unions in Kurdistan
Federation of Workers and Craftmen Trade Unions in Kurdistan

Traduzione (dalla versione inglese) di Carlo Martini per osservatorioiraq.it
La traduzione dall'arabo all'inglese è a cura di Peter Bakvis (Global Unions - Washington
Office)

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